Scopo di questo articolo non è prendere posizione favorevole o contraria all’editoria a pagamento o all’editoria non a pagamento, come è molto di moda negli ultimi anni soprattutto sul web, ma l’intento è invece quello di spiegare perché, a mio avviso, sia sbagliato stigmatizzare a priori gli editori a pagamento ed elogiare quelli non a pagamento.
Generalizzare è sempre sbagliato: in tutti i settori c’è chi svolge il proprio ruolo con professionalità e competenza e chi no, c’è chi lavora onestamente e chi cerca di trarre il massimo profitto a discapito degli altri. Così succede anche nel campo dell’editoria. Vi sono editori a pagamento che, una volta incassata la somma concordata, fingono di seguire l'autore nel primo periodo e poi lo abbandonano a sé stesso; ci sono case editrici indipendenti che lavorano superficialmente e con poca professionalità perché si improvvisano editori e cercano di rifornire il più possibile il loro catalogo in attesa di scovare "l'opera del secolo".
Se, da un lato, è senza dubbio vero che gli editori indipendenti seri sono costretti a valutare con molta attenzione e valorizzare al massimo le opere sulle quali decidono di investire poiché solo le vendite potranno ripagarli del lavoro svolto, ciò non significa che le case editrici a pagamento non diano il giusto valore ai testi che pubblicano solo perché le spese sono inizialmente coperte dall’acquisto di copie da parte dell’autore. In fondo, la maggior parte dei nuovi libri lanciati sul mercato ogni anno escono proprio dalle grandi case editrici a pagamento e molti di questi sono libri degni di essere letti (spesso diventano best seller…), così come lo sono moltissimi di quelli pubblicati dai piccoli editori indipendenti.
Ci sono però alcune verità innegabili:
Molti degli scrittori emergenti che cercano un editore con cui pubblicare credono che sia profondamente ingiusto pagare per trovare il proprio libro sugli scaffali e, ancor di più, vedersi riconoscere una misera percentuale sulle vendite (dal 3% al 20% circa).
Se, da un lato, sarebbe giusto che all’autore fosse riconosciuta un’alta percentuale di diritti d’autore così come dovrebbe essere compito della casa editrice investire solo su scrittori davvero talentuosi che possano ripagarli del lavoro svolto grazie alle vendite, d’altra parte mi domando come potrebbero mai quadrare i conti di un editore con decine di dipendenti e/o collaboratori se il 90% degli incassi sulle vendite fossero riconosciuti all’autore, al quale non è stato chiesto nessun contributo per la pubblicazione. Forse i guadagni degli editori indipendenti prescindono dalle vendite dei libri, ma derivano da attività complementari? E allora perché una casa editrice che pubblica gratuitamente dovrebbe seguire gli scrittori con più serietà rispetto ad altri?
Ci sarà a questo punto chi sostiene che l’editore dovrebbe impegnarsi per vendere migliaia di copie, ripagarsi così delle spese sostenute e guadagnarci... Come se ciò fosse possibile in un Paese in cui la metà dei lettori non legge più di tre libri all’anno.
In conclusione, ritengo che la diatriba tra EAP e NO EAP non abbia senso di esistere, poiché nessun scrittore è costretto a pubblicare a pagamento e può scegliere di rivolgersi a editori indipendenti o optare per il self publishing. Chi sceglie di pubblicare il proprio libro a pagamento (se il libro sarà ritenuto valido ovviamente...) avrà realizzato il proprio sogno né più né meno di chi si rivolge alle case editrici indipendenti: c’è chi rimarrà soddisfatto e chi no, ma ciò non potrebbe forse succedere con un editore non a pagamento che abbandona i libri al proprio destino perché non ha la forza economica di sostenere tutte le spese per la pubblicazione e un piano pubblicitario serio?
EAP o NO EAP non importa, la serietà di una casa editrice dipende dalle opere pubblicate, dalla forza letteraria che queste hanno, dalla cura per i dettagli e per i progetti in essere, dall’attenzione verso gli autori e i loro scritti, dai canali pubblicitari e dall’appoggio che offre ai propri scrittori nel lungo periodo.