Quando si scrive un romanzo, può capitare di inserirvi parte del proprio vissuto. È normale, quasi inevitabile, che le nostre esperienze influenzino la scrittura e vengano riportate, più o meno esplicitamente, all’interno della narrazione.
Può dunque succedere che l’autore inserisca, sebbene inconsciamente, parte della propria vicenda personale all’interno del testo, con riferimenti involontari a persone conosciute oppure a luoghi frequentati e fatti vissuti. Allo stesso modo, elementi appartenenti alla realtà e al proprio vissuto personale, possono diventare una fonte a cui l’autore attinge volutamente, apportando le dovute modifiche così che eventuali persone, luoghi e accadimenti non siano direttamente riconoscibili e riconducibili.
Il discorso è ben diverso qualora si tratti di romanzi a carattere storico, che presentano necessariamente personaggi realmente esistiti, addirittura storicizzati, o di autobiografie e raccolte di memorie, poiché, in questi casi, ciò che stiamo scrivendo ha la peculiarità e prerogativa di essere cronaca del reale, per cui il riferimento diretto diventa inevitabile.
Cambiare nome, età, provenienza, o variare in qualche modo la situazione, sono operazioni narrative da sempre esistite nella scrittura di un romanzo: che sia per una sorta di rispetto della privacy o per mantenere una certa originalità rispetto alla citazione diretta, cambiare il nome mantenendo le solite caratteristiche o operare mescolanze di diversi elementi tratti dal reale può essere un trucco efficace per “confondere” le idee.
Molti personaggi e vicende all’interno dei romanzi più noti, si sa, sono stati ispirati da persone vicine o conosciute e fatti realmente accaduti. Questi riferimenti alla realtà sono tanto più frequenti quanto più la narrazione è realistica, calata nella contemporaneità e vicina all’autore, mentre risultano molto più rari, sebbene non improbabili, quando il racconto è di genere fantasy, horror o fantascienza. Dunque, per quanto un romanzo possa essere totalmente inventato e frutto di fantasia, è normale che chi scrive riversi nelle pagine parte della propria vita, delle proprie esperienze, ricordi, memorie, incontri e conoscenze.
Per concludere, ecco le parole della famosa scrittrice Elena Ferrante, in uno stralcio d’intervista che riporto a mo’ d’esempio:
Domanda ovvia ma obbligatoria: quanto c’è di autobiografico nella storia di Elena? […]
«Se per autobiografia intende attingere alla propria esperienza per nutrire una storia di invenzione, quasi tutto. Se invece mi sta chiedendo se racconto le mie personalissime vicende, niente. […]»