Che cosa mi spinge a scrivere?

Ogni volta che mi pongono questa domanda trovo una risposta differente ma non di meno sincera. La verità è che più ragiono alle motivazioni che hanno generato i miei romanzi, più queste si mescolano tra loro, si confondono, si intersecano, si annodano, fino a diventare una matassa informe e multicolore.

Fin da piccoli ci insegnano che scrivere significa buttare i propri pensieri sulla carta. Ricordate i diari segreti dell’infanzia e dell’adolescenza? Tutti, o quasi tutti, ne abbiamo avuto uno. Era come il nostro amico del cuore, non è vero? L’amico a cui, a sera, potevamo confidare di tutto senza arrossire o temere di essere giudicati per i nostri pensieri e i nostri gesti. Ebbene, prima di muovere i primi passi nella mia avventura da scrittrice, ero perfettamente convinta che l’atto di scrivere si limitasse alla mera osservazione del flusso continuo dei miei pensieri. Proprio come avevo fatto da giovanissima con il mio caro diario, il mio compito, ne ero certa, si limitava a non porre alcun filtro tra il mio cuore e la carta.

Questo, d’altronde, è quello che si insegna ai corsi di scrittura creativa. Così mi son ritrovata molto presto a produrre una serie di scritti dal sapore intimista, testi quasi top secret che perfino io, alle volte, alla rilettura trovavo imbarazzanti. Sebbene la pratica quotidiana mi abbia permesso di perfezionare i miei strumenti, ero certa che alla mia scrittura mancasse qualcosa. Fu una mia cara amica, senza volerlo, a farmi comprendere che cosa. Quando un giorno mi chiese di poter leggere i miei scritti, dei quali solo lei all’epoca conosceva l’esistenza, entrai letteralmente nel panico. Mai prima di allora avevo riflettuto al fatto che la scrittura fosse, prima di tutto, condivisione. E condividere significa comunicare, ovvero trasmettere un messaggio a un interlocutore attraverso dei mezzi standardizzati, come il linguaggio scritto appunto.

Questa semplicissima verità, che da sempre ho avuto davanti agli occhi, mi ha sconvolto a tal punto che rileggendo i miei testi per offrirli alla mia amica, ho provato nei loro confronti come una sorta di repulsione, quasi un dolore fisico, una nausea incontrollabile. Senza rendermi conto, la mia prospettiva sulla scrittura era radicalmente cambiata, e a giovarne fu soprattutto la mia maniera di scrivere. Da quel giorno, ogni volta che mi accomodo davanti alla tastiera del mio PC, è come se la mia amica fosse sempre seduta al mio fianco. Se lei non capisce quanto ho scritto o se si annoia leggendo i miei racconti, significa che devo sforzarmi di essere più chiara o che il mio testo ha bisogno di più movimento.

Ecco quindi cosa mi spinge realmente a scrivere, al di là dell’amore enorme che nutro verso la letteratura: il bisogno di comunicare, non solo a me stessa ma anche al resto del mondo, quanto mi frulla nella mente; senza filtri, senza nausea, senza freni.

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