Scrivere romanzi non è semplice, almeno per quel che mi riguarda. In effetti penso che esista un gruppo di autori, nemmeno tanto ristretto, per i quali la narrativa non è una divertente passione ed io credo di appartenere a questo gruppo di persone, le cui vite sono, in qualche maniera, modellate e definite dall'atto di scrivere narrativa ma, allo stesso tempo, intrappolate in esso.
Mi è ancora difficile credere di essere una "romanziera", e le ragioni di questa difficoltà nell’accettare me stessa in quanto scrittrice credo che siano molteplici. Una di queste è senz’altro legata al disagio fondamentale nei confronti della narrazione stessa, ovvero la dura ammissione a sé stessi che il proprio piacere di base è quello di essere costantemente altrove, se non con il corpo almeno con la mente. Un'altra ragione per la quale non ritengo la scrittura un’attività così divertente, è il fatto che la società suppone che il romanziere produca romanzi in modo naturale, automatico e regolare come una mucca dà il latte. Non è così, e mi piacerebbe che i lettori lo capissero.
È vero, scrivere mi dà un grande piacere, anche se non sempre. Scrivere un romanzo è in gran parte un esercizio di disciplina psicologica: cercare di tenere in equilibrio il proprio progetto sul mento mentre ci si avventura in un campo minato di depressione e di scatti d'ira non è facile. Iniziare è scoraggiante; trovarsi a metà strada ti fa sentire come Sisifo; finire a volte comporta la delusione di sapere che questa collezione finita di parole è tutto ciò che rimane della tua idea infinitamente ricca. Lungo il percorso, ci sono le insidie del disgusto per se stessi, della noia, del disorientamento e di un persistente senso di inadeguatezza, occasionalmente alternati a episodi di autocompiacimento isterico quando si crede fugacemente di aver azzeccato quella particolare frase e di essere sicuramente destinati a unirsi alla schiera degli immortali, per poi trovarsi di fronte, la mattina dopo, a una spaventosa farragine di cliché che nessun essere umano sano di mente potrebbe leggere senza vomitare. Ma quando si è in zona, quando si fanno girare le parole come piatti, si prova un profondo senso di soddisfazione e, sì, di piacere...